Prese di coscienza. Parlo praticamente solo di prese di coscienza in questo blog ma dato che è da un anno a questa parte che continuo a rendermi conto di un sacco di cose non posso fare altrimenti. Di che fulminante consapevolezza vogliamo parlare oggi? La consapevolezza di essere un po’ degli stronzi. Proprio questa.
Partiamo dalle basi. Riporto come sempre la mia esperienza che è l’unica cosa alla quale mi posso aggrappare per dire di poter conoscere qualcosa.
Al liceo il mondo mi diceva che ero una sorta di genio, capace in tutto, sembrava che non sbagliassi mai nulla, destinata a vincere qualunque competizione con me stessa. Dentro di me un po’ me lo sentivo che si trattava di una bufala, di un abbaglio e che la vita mi avrebbe prima o poi preso a calci in faccia. Che sarebbe arrivato il fatidico momento in cui mi accorgevo di non essere sensazionale, di non essere speciale, di essere una persona come tante che, semplicemente, può solo cercare di fare del suo meglio nello spettro delle sue aspettative. Vedete perché ho scelto fisica? Volevo proprio sbatterci il muso, non so se ha fatto più male fisica o l’università in sé, ma in ogni caso ha funzionato.
Questa è la prima vera presa di coscienza, capire che non si è meglio degli altri, che ognuno deve cercare di essere meglio di quello che si aspetta da sé stesso, ecco tutto. Prima bisogna fare i conti con questo, è inutile fare confronti che abbiano il potere di farci sentire meglio o peggio, sono così personali i nostri percorsi di crescita che sarebbe veramente solo un enorme spreco di tempo. Ma il discorso che voglio fare è un po’ più fine, un po’ più profondo di così. Si torna sempre alla questione dell’impegno. Non si può pensare di poter investire in qualcosa di complicato lo stesso impegno che ci metterebbe qualcuno per il quale non è poi così complicato. Mi spiego. Il vero problema dello schianto con l’università e nel mio caso con fisica, è che non riusciamo a capire quanto dovremmo impegnarci, quanto serve, cosa pretendiamo da noi, se vogliamo sopravvivere o se vogliamo brillare. E spesso l’errore è di tentare all’infinito un esame senza mai cambiare metodo, senza mettersi troppo in discussione, come se si trattasse di un gratta e vinci, o la va o la spacca. Un esame fallito ci dice che abbiamo sbagliato qualcosa e la maggior parte delle volte non siamo troppo stupidi, è che magari il tempo che abbiamo dedicato allo studio non è proporzionale al nostro grado di difficoltà. Una cosa bella di fisica è questa, ovvero che se non sei un genietto malefico, devi mettere in conto che per passare gli esami devi farti un culo a capanna, non ci sono alternative, escamotage o scappatoie di qualche sorta. E’ bello perché ti mette di fronte in maniera completamente esplicita quali sono i tuoi limiti ma anche il modo in cui li devi affrontare e quindi come superarli.
All’inizio saranno magre consolazioni, tanto studio, tanta fatica e risultati miseri, come se i mesi passati a studiare fossero il vano tentativo di strappare un 18 quando ci sono persone che in due settimane preparano tre esami e li passano con 30 e lode e chi si è visto si è visto. Loro non fanno così fatica, loro hanno scelto una cosa che gli piace e nella quale riescono bene, l’hanno scelta. Anche voi avete compiuto una scelta, avete scelto di intraprendere una strada molto più impervia, se io fossi andata a filosofia magari non lo sarebbe stata per me, ma questo ho scelto. Va considerato, bisogna prendere atto del fatto che non possiamo sperare di affrontare questo percorso tutti con lo stesso livello di difficoltà. Bisogna accettare la propria fatica, la propria “inferiorità”, se così volete definirla, e poi sta a voi, se capite che ne vale la pena, allora rimboccatevi le maniche perché sarà veramente una carognata assurda, ma quando arriverete in cima la soddisfazione non sarà la stessa di chi ci è arrivato senza incontrare ostacoli, sarà maggiore. Perché anche la soddisfazione finale è proporzionale al grado di difficoltà.
Camilla
Una replica a “Proporzionalità”
Sei fantastica Cami! Sottoscrivo ogni parola.
Forza, ce la possiamo fare!
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