Ho pensato di trattare un argomento un po’ diverso questa volta. E’ inutile che faccia la guru della motivazione se poi di fatto ho la forza mentale di un fagiolo. Stare chiusi in casa comporta malauguratamente (o per fortuna) l’innescarsi di riflessioni su sé stessi. Credo sia proprio dovuto al fatto di poter osservare in un ambito più ristretto il nostro umore, il nostro comportamento. Si ha la possibilità di circoscrivere i propri problemi e renderli accessibili ed analizzabili. Nella vita di tutti i giorni, strapiena di interazioni sociali, di imprevisti, di variabili sarebbe troppo difficile e magari troppo stancante. Attenzione, perdersi in lunghi monologhi interiori non è sbagliato, rimuginare sui propri limiti, sui propri difetti e sulla propria visione delle cose può essere frustrante e rivelatore in un certo senso. Quelli da evitare (e qui siamo tutti d’accordo), sono i pensieri a vuoto, i pensieri non fini a sé stessi ma che germogliano su ansie ed insicurezze con lo scopo di alimentarle.
Introduco così l’argomento della percezione del proprio corpo e di tutto ciò che ne consegue e ne voglio parlare perché penso di non essere l’unica ad aver bisogno di buttare via un po’ di spazzatura mentale relativa a questa faccenda.
Ho passato diversi mesi ad usare il cibo come valvola di sfogo, ogni pranzo era un’occasione per concentrarmi su qualcos’altro. Mangiare e bere si intende, l’alcol ha la sua bella responsabilità in tutto ciò. E ho cominciato ad andare ben oltre i miei limiti, più e più volte, ogni pranzo in famiglia, ogni uscita a cena diventava un momento per ingozzarmi, per superare ampiamente il livello della sazietà. Ho iniziato a stare male, a mangiare così tanto da dover buttare fuori tutto dopo, intenzionalmente, come se sentissi di aver sovraccaricato il mio corpo e il mio stomaco non poteva farcela. Le volte che non lo facevo impiegavo una vita ad assimilare e digerire quello che avevo mangiato. E non funzionava certo per dimagrire, alla fine dell’estate avevo raggiunto il mio massimo storico sulla bilancia. Questa cosa è diventata sempre più frustrante col tempo, nascondere la pancia con gonnelloni, avere l’ansia prima di ogni pasto perché sapevo che avrei esagerato e mi sarei fatta del male. Non mi sopportavo. E forse i miei limiti fisici, forse la stanchezza di affrontare queste situazioni mi hanno aiutato pian pianino a smetterla e a mangiare con più piacere, più calma e meno voracità. Attenzione, non vi sto parlando di bulimia, non è quello che ho superato, non so se ci sarei arrivata, può essere. Chiaramente questo è un post in cui riporto il mio vissuto, qualcuno potrebbe ritrovarsi, ma non pretendo di fornire rimedi o spiegazioni.
La prima cosa che mi ha aiutato a sbloccarmi è stata farlo per la mia salute. Stitichezza, fatica a digerire quello che mangiavo, la sensazione di esplodere dopo ogni pasto, non era così che volevo vivere il cibo, volevo viverlo in maniera normale e controllata, tutto lì. Questa quarantena mi sta aiutando incredibilmente a dimagrire, senza rispettare diete ferree, semplicemente evitando di mangiare in quel modo. Non è automatico e il fatto di essere in casa con qualcuno che cucina al posto mio e mi fa trovare pronti sempre degli ottimi piatti ha di certo un’influenza. Cerco di fare un po’ di esercizio tutti i giorni e mi sono pesata nelle ultime settimane senza pretese, giusto per tenere monitorato il mio peso ma nulla di più. L’ultima settimana ho messo su un chilo, un po’ di delusione, ma pace. Il chilo in più non se n’è andato, poco fa mi sono pesata ed oltre a lui c’era un altro suo amico, un altro chilo in più che mi prendeva a braccetto. E lì sì che non sono rimasta indifferente. Lo scorso weekend ho messo un vestito aderente, fiera di essere più snella del solito, sentendomi più magra del solito, oggi mi sono guardata e ho visto un corpo diverso da quello che volevo. Troppa pancia, troppa pancia, ma perché è così tanta? Non ho mangiato tanto di più. Poi ho pensato che nel giro di qualche giorno potevo anche aver messo su un chilo ma di certo la mia pancia non poteva aver subito dei cambiamenti così rilevanti. Ero solo io. Quegli occhiali che indosso quando sono insoddisfatta di me che mi fanno vedere un corpo che non mi piace, anche se non ha nulla di diverso da quello che poco tempo prima mi piaceva. E improvvisamente diventi brutta, e tutto diventa brutto e vorresti non mangiare per due giorni ma in realtà l’effetto è esattamente l’opposto, mangeresti di più per nervosismo e frustrazione.
Molte volte si è innescato questo meccanismo dentro di me. Un attimo prima bella, poi scatta qualcosa e sei brutta. Ora bella. Adesso brutta, e avanti così. Quello che più mi ha svilito è stato rendermi conto che quell’equilibrio che credevo di aver parzialmente raggiunto con il mio corpo e con quello che mangiavo era solo illusorio e che, da un momento all’altro, poteva crollare. Ed è quello che mi fa sentire così debole, così fallibile, il fatto di arrivare sempre allo stesso punto per ricominciare, di non avere mai una formula, un momento in cui posso dire “okay, è andata”, è un continuo tentare e so che sarà sempre così. Non è come un esame che basta studiare per un po’, magari farsi il culo e alla fine lo si passa. E’ più come la scienza in sé, ovvero non finisce mai, non si giunge mai al punto di conoscere tutto, bisogna andare avanti a provare e scoprire. Nel ramo della ricerca è molto più stimolante e poetico di quanto non lo sia il fatto di mettersi a dieta. Però ci siamo capiti. Non è un dramma. Sono fatta così, come la scienza per la sua natura intrinseca significa dubbio costante.
Il problema risiede nell’incessante lotta contro la propria indole, la propria natura. Migliorarsi, voler dimagrire, volersi prendere più cura di sé e del proprio corpo non è sbagliato, ma struggersi all’infinito per il fatto di doverci mettere impegno lo è. Farò fatica, farò sempre fatica, ci sono persone che riescono a mangiare il giusto e a fare attività fisica con la naturalezza con cui io instauro relazioni con gli altri e bevo lo spritz. Certo che è frustrante ma lo è ancor di più pensare che non dovrebbe esserlo, pensare che non è normale la difficoltà che abbiamo e che anche se ci impegniamo non saremo mai al livello degli altri. Non esistono livelli. C’è il mio livello, e il mio livello è cercare ogni giorno di fare quel piccolo sforzo, di fare quella ginnastica, di essere un po’ più attenta a quello che mangio, di non guardarmi allo specchio come se ogni mio passo falso si potesse riversare sul mio aspetto. Non è così. Basta colpevolizzarsi, la colpa e la scarsità di indulgenza verso di sé portano solo a più paura ed insicurezza verso qualsiasi obiettivo ci si ponga. E mettere su un chilo non è sbagliato come non è sbagliato volerlo perdere, l’equilibrio è importante, ed è importante dare alle cose il significato che hanno senza trovare pretesti per immergersi in una piscina di autovalutazioni negative.
Questa è un po’ la mia piccola esperienza in merito, e il modo in cui sto cercando di gestirla, e voglio partire per farlo dalla percezione che ho di me, credo sia quello che conta davvero.
Camilla