• Sono una pessima blogger e me ne rendo conto. E’ che non mi vengono spesso delle belle idee quindi impiego qualche mese per metterle a posto e fare un post in cui ho da dire qualcosa di sensato. Non sono completamente sicura che quel momento sia arrivato ma ci provo, mossa dallo spirito propositivo dell’anno nuovo.

    Punto della situazione: terzo anno di università. Metterlo nero su bianco fa uno stranissimo effetto, sono successe e cambiate così tante cose in questi due anni e mezzo, è difficile star dietro alla propria vita. Se la prendiamo giorno per giorno non ci sembra niente di che, ma sul lungo periodo ci rendiamo conto di quanto può essere imprevedibile la nostra storia, il nostro percorso. Ed ogni volta che mi sembra di aver capito dove stavo andando mi rendo conto che nulla rimane in equilibrio troppo a lungo. Dopo l’intensa e soddisfacente sessione di settembre ero esattamente in quella fase, convinta di essere sul pezzo, di aver trovato il mio inamovibile equilibrio. Ed è a quel punto che l’amore arriva a romperti i coglioni, prende la tua solidità psicologica e la scaglia per terra, la calpesta, la maltratta, ci sputa sopra e la fa in mille pezzi dicendoti “mo’, ricominci da capo e non più da sola ma con un’altra persona”. Dopo un anno di deliri e lotte in cui a fatica hai imparato a stare con te stessa e ad apprezzarlo, a credere nelle tue potenzialità. No, lui no, arriva e manda tutto in vacca. Ed è tutto un farfalle nello stomaco, sorridere sempre ed immotivatamente quando lo vedi, pensarci ogni secondo, evadere da alcune responsabilità per passarci del tempo assieme. Proprio così, insomma.

    Ci scherzo sopra, ma la cosa non è che non mi abbia fatto riflettere. Tutta questa felicità improvvisa che mi ha travolto è stata uno tsunami, un’ondata di benessere da gestire. Stare con una persona può comportare il fatto di dover prendere delle decisioni che non riguardano solo noi stessi, comporta il fatto di cambiare routine magari, di cambiare il proprio modo di affrontare delle situazioni. Comporta un sacco di fottute picconate al famigerato equilibrio interiore di cui parlavamo poc’anzi. Non è una cosa negativa. Mi rendo conto che si tratta di una nuova avventura, un nuovo percorso da intraprendere e di un differente equilibrio da trovare dentro di sé, un equilibrio che include qualcun’altro e per questo è ancora più prezioso e più fragile.

    Come conciliare due diverse fonti di serenità in modo da mantenere l’equilibrio o trovarne uno nuovo?

    In generale ho pensato che una persona può ambire a due grandi tipi di felicità, due tipologie di benessere che devono andare a braccetto, devono coesistere. Il primo è quello legato allo stare con gli altri, all’avere rapporti di valore, non solo con un compagno/a ma anche di amicizia. Ciò non significa essere circondati di amici o essere necessariamente in una relazione ma poter collezionare momenti positivi e rapporti positivi con le persone, arricchirsi da un punto di vista affettivo e relazionale. Per questo avere un rapporto profondo con una persona, se è sano, se funziona e ti dà energia può essere molto importante, perché ti insegna un sacco di cose su te stesso e sull’altro, ti permette di cambiare, di capire e di far entrare qualcuno nella tua sfera di benessere. Un tipo di rapporto del genere ti fa toccare più da vicino qualcosa che assomiglia all’altruismo perché accetti di sacrificare questa tua area di comfort per stare con qualcun’altro, accettando di fare fatica, accettando di innamorarti e di lasciarti cambiare un pochino, accettando la paura legata al dover proteggere, accettando il fatto che qualcuno voglia proteggerti. Nonostante tu possa rimanere completamente indipendente, nel tuo cammino, hai una persona speciale che ti tiene per mano per ricordarti che puoi farcela. Questo significa che ti può spaventare la mancanza, la distanza, che le tue abitudini cambieranno e se anche la cosa ti disturberà perché sentirai di non avere più un solido appoggio a terra, allo stesso tempo ti sembra di volare e non vuoi farne a meno. Poter avere una relazione del genere ti introduce al fatto di dover affrontare nuovi ostacoli, al fatto di sentirti persa, o di aver paura di perderti e non sapere più bene cosa vuoi per te stessa. Come dicevo ogni nuova avventura, ogni nuovo universo che ci si apre innanzi ci mette davanti lati negativi e lati positivi, nuove strade, nuove sensazioni e nuove difficoltà, il bello è anche questo.

    Ed è da qui che collego il benessere legato alle persone ed ai rapporti ed il benessere legato alla gratificazione personale. Siamo tutti d’accordo col fatto che una relazione non sia sana se uno dei due o entrambi finiscano per sacrificare completamente la propria vita all’insegna di quella di coppia, se abbandonassero tutti gli obiettivi, le aspettative su sé stessi, i progetti per rintanarsi in una felicità apparente, in una nuova e più viziata area di comfort in cui fuggire dalle proprie paure, responsabilità, in cui trovare una scusa o un’alternativa ai propri insuccessi. Una relazione del genere sarebbe destinata a rendere infelici le persone coinvolte ed a marcire lentamente.

    Per questo dico che bisogna che ci si concentri su entrambi gli aspetti. Non usare l’altra persona per nascondersi da sé stessi, non usarla come pezza per la propria insoddisfazione personale ed allo stesso tempo lasciare che questa “entri nel vostro piccolo strano mondo”. Credo quindi che sia importante condividere obiettivi, idee, condividere una certa visione della vita e stimolarsi a vicenda. Già tempo fa avevo scritto un post in cui dicevo che per stare con qualcuno l’ideale sarebbe che ognuno dei due percorresse la sua strada, ma che le due strade andassero in parallelo. Stare insieme è essere amici, essere una squadra, è supportarsi e volere il bene proprio e dell’altra persona.

    Significa che ti svegli al mattino e guardandogli il viso addormentato non puoi che essere grata, non sai a cosa, ma sei solo grata di poterti svegliare accanto a lui. Significa che vi alzate dal letto a fatica e andate a studiare, frustrati e stanchi, ogni giorno fino alla fine della sessione e ogni esame passato si festeggia al ristorante.

    Una cosa così.

    Camilla

  • Un tempo pensavo che questo fosse l’inizio della tua storia.
    Siamo così limitati dal tempo, dal suo ordine.
    Ci sono giorni che determinano la tua storia al di là della tua vita.
    Arma apre tempo.
    Nonostante io conosca il viaggio e dove porterà, lo accetto, dal primo all’ultimo momento.

    Arrival

    Oggi pomeriggio, al posto di riguardare gli appunti di meccanica analitica (nel weekend mi pentirò di questa decisione) ho aperto il mio vecchio quaderno di filosofia delle superiori. Stracolmo di appunti, riflessioni, concetti e collegamenti che da liceale mi divertivo a snocciolare completamente, fino ad arrivare a comprenderne il significato in maniera così cristallina da poterlo spiegare a chiunque. Mi sono imbattuta in Kant e Nietzsche e ho capito, credo, perché ho scelto fisica. Ora lo vedo, due anni fa, sommersa dalle matrici e dall’istinto di mollare tutto non l’avrei potuto vedere. Kant che parla per la prima volta di “strutture mentali”, del fatto che la realtà potrebbe non essere conoscibile per noi, che possediamo appunto delle strutture che ci permettono di filtrare le informazioni, di leggere il mondo solo in un certo modo, attraverso un certo linguaggio con cui la nostra mente pare essere programmata. E qui potremmo già ragionare su un primo concetto, ovvero sul fatto che lo scienziato, anzi, l’uomo che ragiona ed osserva avvalendosi del metodo scientifico è consapevole del proprio “handicap”, di quanto la sua osservazione, per quanto oggettiva rimarrà sempre parzialmente intaccata anche solo dal semplice fatto di star osservando, di star interagendo con l’oggetto. Un’altra cosa geniale che dice Kant è a proposito della bellezza, che non è assoluta, non è un’idea come poteva essere la bellezza di Platone. Il soggetto definisce la bellezza nell’incontro con l’ogetto, la bellezza nasce dall’interazione tra l’osservatore e l’osservato. Trovo sia da togliere il fiato quanto queste teorie riescano ad essere eleganti e puntuali e così vicine a quello che la fisica è arrivata a scoprire oggi. Quanto era limpido il pensiero di Kant per riuscire a vedere così oltre, per riuscire a farci intuire che siamo parte di un tutto. Che siamo quello che osserviamo. Questa è una mia idea. Credo che ci spingeremo così in là da riuscire a guardarci allo specchio e capire che il confine tra noi, tra le nostre menti e l’universo sconfinato ed inconoscibile è infinitamente labile.

    Kant descrive anche con immagini stupende due categorie di fisici, due motivazioni che spingono le persone ad interessarsi o a studiare la fisica. E lo fa attraverso il Sublime kantiano, ciò che un uomo prova innanzi all’infinitamente grande ed all’infinitamente piccolo. Qualcosa che sfugge alla nostra comprensione, qualcosa che sembra così lontano dal modo in cui abbiamo imparato ad approcciarci alla realtà. Da una parte suscita in noi lo sgomento, la paura, quel sentimento che si prova quando si capisce che è tutto casuale, che la nostra vita è una particella quasi inesistente in mezzo ai miliardi di miliardi di eventi che ci circondano su scale inimmaginabili. Dall’altra è quella che Kant chiama “la ragion pura” a creare una “tensione metafisica”, adoro quest’espressione perché rende l’idea. Una tensione metafisica, ovvero proprio perché siamo uomini possiamo percepire il sublime, possiamo provare quella sensazione di connessione con ogni cosa, quella percezione del mondo e della vita nel loro insieme, possiamo sentire di essere parte di un marchingegno, di un quadro così sterminato, così complesso, meraviglioso e terrificante in tutta la sua matematica casualità. E ancora più stupefacente è come i meccanismi dentro di noi siano tanto sofisticati da permetterci di studiare e comprendere ed in parte a cogliere con una sorta di sesto senso il potenziale della vita che viviamo e del mondo di cui siamo parte.

    E infine Nietzsche e il tempo. Nietzsche che uccide Dio dicendo che lui, come qualunque principio assoluto che i filosofi hanno cercato di ideare è solo un tentativo di riordinare la stanza. Una stanza troppo grande in cui vogliamo trovare le nostre cose e capire dove andare e capire perché si soffre e perché si gioisce, e trovare una causa ed uno scopo alle nostre vite. Ma la verità forse è proprio questa, che non possiamo aggrapparci a certezze di questo tipo. Le uniche vere certezze dovrebbero giacere dentro di noi, nella capacità di affermarci, di capire che non deve esistere nulla di superiore ad attribuire una finalità alle nostre azioni, ai nostri successi, ai nostri fallimenti e ai nostri dolori. Siamo noi, sempre noi che abbiamo l’incredibile potere di scegliere. E come si lega il tempo a tutto questo discorso? Eliminando la nostra concezione di tempo lineare, di presente condizionato dal passato e tendente ad un futuro. Cosa sono passato e futuro? Esiste il presente. Esiste qui ed esiste ora. Esiste perché lo stiamo vivendo, il passato non lo viviamo più, il futuro non è ancora stato vissuto. E ancora non si sa se è già tutto predisposto lungo una linea e noi la percorriamo istante per istante, oppure se in realtà presente, passato e futuro si srotolano all’unisono. Il tempo ciclico, di quel tempo parlava Nietzsche, e qual è la differenza sostanziale? Che in un tempo ciclico ogni istante è equidistante dal centro. Ogni istante siamo chiamati a dare un valore alle nostre vite.

    E ancora una volta la fisica ci lega in maniera così insolita ed affascinante all’universo che ci circonda ed all’universo che abbiamo dentro di noi. In questo modo ci insegna a guardare al di fuori e di conseguenza ad apprezzare l’enorme valore dell’esistenza.

    Camilla

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    Ed eccoci. Un altro anno. Mi fa sempre più impressione guardarmi indietro e vedere i miei cambiamenti, vedere come muta la mia vita, la mia percezione di essa, il modo in cui affronto le difficoltà. E’ ancor più assurdo osservare come sono repentini ed improvvisi i cambiamenti nei rapporti con le persone. Quanto può diventare importante qualcuno in così poco tempo, e quanto un sentimento forte riesce a scemare ed affievolirsi. E non c’è nulla di drammatico in questo, credo che debba farci sentire vivi, al contrario. Farci sentire che non c’è mai nulla di stabile sotto i nostri piedi, nella nostra mente, che ogni cosa, ogni idea ed ogni percezione che abbiamo di noi, del mondo e degli altri è in continua evoluzione.

    Il percorso che sto facendo mi avvicina sempre di più all’apprezzare questa sorta di moto perpetuo. Perché Fisica è proprio una di quelle materie che impari ad apprezzare nel momento in cui cominci a realizzare che non potrai mai possederla del tutto, mai comprenderla a pieno, al limite diventarci amico e fare un viaggio. E i viaggi che si possono fare con la fisica e con la matematica sono infiniti, credetemi. E’ così anche con le persone, credo, alla fine stiamo bene con chi ha quella stupenda qualità di saperci sempre sorprendere. E’ bello intuire che non ci si conoscerà mai del tutto, ma in questo modo avremo sempre qualcosa di interessante da fare, qualcosa in più da scoprire.

    Ora, abbandonando per un istante queste riflessioni mistiche (dovete immaginarmi mentre scrivo con le musiche di Hans Zimmer in sottofondo e batto sui tasti con un’intensità kungfuica).

    Sono passati due anni, un’eternità, me li sento come se mi fossero scivolati addosso ed invece sono successe talmente tante cose che mi hanno cambiato, che mi hanno fatto crescere, che mi hanno messo alla prova. Ho la netta sensazione nella pancia che questo si rivelerà uno dei periodi più importanti della mia vita, più ricchi, più incisivi, più determinanti su chi sceglierò di diventare. Ed io voglio che la vita mi investa in ogni sua sfumatura. Ho sviluppato nuovi modi di pensare, di ragionare, di vedere le cose. Nuovi modi di analizzare il mio comportamento e di affrontare i problemi. Ho dato quattro esami, i più “cattivi” del primo anno per così dire: Analisi 1, Analisi 2, Meccanica e Termodinamica. E mi rendo conto di quanto stia diventando stimolante per me studiare queste materie, condividere la passione, l’entusiasmo e certamente anche la frustrazione e la fatica con persone che mi sono vicine, che le comprendono e diventano compagni di viaggio. E’ bello svegliarsi ed avere qualcuno nella nostra vita che costituisca per noi un punto fisso. Come Sinbad con la sua cazzo di stellina all’orizzonte (nonostante quella fosse la porta per arrivare a Tartaro, il regno del caos, ma mi fermerei solo alla prima parte della metafora).

    Anche nel corso di questi mesi ho incontrato difficoltà, dubbi, ostacoli, momenti di demotivazione, ma è grazie a queste persone, a tutta l’energia che mi danno che ogni singola volta che sento di non riuscire ad andare oltre, so di potermi rialzare, di poter mandare giù quel nodo in gola che ti fa sentire inadeguato. L’ho fatto e rifatto, e pian piano si diradano sempre di più i momenti in cui mi accorgo di dovermi rimettere in piedi. Pian piano le cadute iniziano a fare meno male, e a farmi capire che sono più forte, a farmi capire che posso sempre scegliere. Sempre. E che alla fine le decisioni più faticose e più impegnative sono quelle che ci riempiranno di tantissima gratificazione, di una gioia quasi infantile. Sono le decisioni come queste, queste piccole lotte che ci fanno sentire di avere uno scopo, di poter costruire qualcosa. Ed è bellissimo.

     

    Camilla

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    Mi sono interrogata a lungo e mi interrogo tuttora sul significato di quello che provo. La verità è che forse attribuiamo troppo significato a quello che proviamo, e a volte le cose non vanno come vorremmo e semplicemente proviamo delusione, amarezza e senso di inadeguatezza verso noi stessi quando in realtà non avremmo potuto avere il controllo sulla situazione. Ci sono dinamiche che trascendono la nostra capacità di adattamento, il  nostro impegno, la nostra volontà. Ci dimentichiamo di guardare al netto il risultato, quello che abbiamo ottenuto e ci focalizziamo troppo sul come ci fa stare. Un sacco di eventi ci fanno stare male senza un motivo specifico, rimuginare sulla propria sofferenza è talmente inutile da riuscire a farci sentire forse ancor più inadeguati.

    Vi spiego, sennò sembra che parli a vanvera. Il mio esame è andato male. Tuttavia ho preso un bel voto. Ho terminato sia lo scritto che l’orale non con la soddisfazione che tanto desideravo. Come un bel voto per un tema. Purtroppo non va così. Sono felice del voto che mi è stato dato perché credo rispecchi il mio impegno. Sono molto delusa dalla mia prestazione perché non avrei mai voluto che tutto quello in cui avevo investito le mie energie finisse per dipendere dal mio stato d’animo al momento dell’esame. E per questo devo ringraziare di aver avuto un professore che magari è riuscito a vedere, al di là degli errori, delle imprecisioni, dei momenti di vuoto, una persona che nel suo piccolo ce l’aveva messa tutta. E ce l’ho messa tutta. Di questo devo essere orgogliosa. E fossilizzarmi sul non essere così felice, così gratificata come avrei voluto mi toglie solo del tempo che mi sarei potuta godere invece.

    Forse si dà per scontato, a volte, che l’impegno sia sufficiente, purtroppo non si valutano le buone intenzioni, purtroppo o per fortuna. Amareggiarsi a che serve? Avrei potuto non superarlo affatto questo esame, e lì come mi sarei potuta sentire? Vedete che sono una scimunita? Bisogna sempre cercare di vedere quello che si ha, quello che abbiamo guadagnato, il resto è fuffa inutile, frutto del fatto che passiamo troppo tempo a pensare.

     

    Camilla

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    Ultimo giorno prima del grande esame. La data che incombe porta con sé un’atmosfera di solennità, come un tragico destino che giunge infine a bussare alla mia porta. Lasciate stare il melodramma, ho guardato ieri L’Ultimo Samurai e la scena in cui Katsumoto si toglie la vita alla fine della battaglia in cui il suo esercito viene sconfitto mi ha fatto provare un sentimento di profondo rispetto. L’esercito dell’imperatore è Analisi 2 e io sono Katsumoto, pronto ad andare incontro alla propria disfatta ma usando tutte le risorse a sua disposizione. E’ una visione troppo epica, dite?

    Sto studiando questo maledetto esame da due mesi, 6 ore al giorno di media. E volete sapere una cosa? Le ho contate, sembra strano (e lo è) ma è così, avevo bisogno di quantificare il mio sforzo -si vede che faccio fisica- ed ora che il mio lavoro di preparazione è terminato posso finalmente dire di aver studiato la bellezza di 212 ore. Sono soddisfatta, spaventata chiaramente per l’investimento che quest’esame ha costituito per me e perché la speranza che vi ripongo è ad un livello pericoloso, ma sono contenta di ciò che ho messo in questo esame, sono contenta di tutta la fatica, di tutta la preoccupazione e la frustrazione perché hanno dato dei frutti. Arrivo oggi con la consapevolezza di aver fatto il massimo in mio potere e, per la prima volta, non ho sensi di colpa, non mi viene da svilire il mio lavoro perché so che è stato un lavoro fatto bene nei limiti delle mie capacità. E domani sarà l’ultimo grande sforzo, consisterà nel tenere i nervi saldi durante la prova, non giungere a conclusioni mentre la svolgo, ma fare di tutto per ripescare nella mia mente ogni cosa utile.

    E’ una bella sensazione, mi trasmette una sorta di lieve adrenalina il fatto di non voler accettare il fallimento, nel fatto di fare qualcosa che deve andare e basta secondo la mia visione delle cose, non so come ma deve funzionare. Dopodiché se non andasse bene quanto spero e non superassi l’esame, il mio cervello passerebbe alla modalità “calm down, get drunk and make another plan“. Tra pianti disperati, senso di inadeguatezza, odio, disperazione eccetera…la trafila la conoscete.

    Ciò detto ora vado a prendermi un meritato aperitivo, e dato che sono scaramantica credo che andrò sull’analcolico perché, come ben sapete, ho dei precedenti in fatto di sputtanamento di esami a causa di sbornie violente.

    Camilla

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    Prese di coscienza. Parlo praticamente solo di prese di coscienza in questo blog ma dato che è da un anno a questa parte che continuo a rendermi conto di un sacco di cose non posso fare altrimenti. Di che fulminante consapevolezza vogliamo parlare oggi? La consapevolezza di essere un po’ degli stronzi. Proprio questa.

    Partiamo dalle basi. Riporto come sempre la mia esperienza che è l’unica cosa alla quale mi posso aggrappare per dire di poter conoscere qualcosa.

    Al liceo il mondo mi diceva che ero una sorta di genio, capace in tutto, sembrava che non sbagliassi mai nulla, destinata a vincere qualunque competizione con me stessa. Dentro di me un po’ me lo sentivo che si trattava di una bufala, di un abbaglio e che la vita mi avrebbe prima o poi preso a calci in faccia. Che sarebbe arrivato il fatidico momento in cui mi accorgevo di non essere sensazionale, di non essere speciale, di essere una persona come tante che, semplicemente, può solo cercare di fare del suo meglio nello spettro delle sue aspettative. Vedete perché ho scelto fisica? Volevo proprio sbatterci il muso, non so se ha fatto più male fisica o l’università in sé, ma in ogni caso ha funzionato.

    Questa è la prima vera presa di coscienza, capire che non si è meglio degli altri, che ognuno deve cercare di essere meglio di quello che si aspetta da sé stesso, ecco tutto. Prima bisogna fare i conti con questo, è inutile fare confronti che abbiano il potere di farci sentire meglio o peggio, sono così personali i nostri percorsi di crescita che sarebbe veramente solo un enorme spreco di tempo. Ma il discorso che voglio fare è un po’ più fine, un po’ più profondo di così. Si torna sempre alla questione dell’impegno. Non si può pensare di poter investire in qualcosa di complicato lo stesso impegno che ci metterebbe qualcuno per il quale non è poi così complicato. Mi spiego. Il vero problema dello schianto con l’università e nel mio caso con fisica, è che non riusciamo a capire quanto dovremmo impegnarci, quanto serve, cosa pretendiamo da noi, se vogliamo sopravvivere o se vogliamo brillare. E spesso l’errore è di tentare all’infinito un esame senza mai cambiare metodo, senza mettersi troppo in discussione, come se si trattasse di un gratta e vinci, o la va o la spacca. Un esame fallito ci dice che abbiamo sbagliato qualcosa e la maggior parte delle volte non siamo troppo stupidi, è che magari il tempo che abbiamo dedicato allo studio non è proporzionale al nostro grado di difficoltà. Una cosa bella di fisica è questa, ovvero che se non sei un genietto malefico, devi mettere in conto che per passare gli esami devi farti un culo a capanna, non ci sono alternative, escamotage o scappatoie di qualche sorta. E’ bello perché ti mette di fronte in maniera completamente esplicita quali sono i tuoi limiti ma anche il modo in cui li devi affrontare e quindi come superarli.

    All’inizio saranno magre consolazioni, tanto studio, tanta fatica e risultati miseri, come se i mesi passati a studiare fossero il vano tentativo di strappare un 18 quando ci sono persone che in due settimane preparano tre esami e li passano con 30 e lode e chi si è visto si è visto. Loro non fanno così fatica, loro hanno scelto una cosa che gli piace e nella quale riescono bene, l’hanno scelta. Anche voi avete compiuto una scelta, avete scelto di intraprendere una strada molto più impervia, se io fossi andata a filosofia magari non lo sarebbe stata per me, ma questo ho scelto. Va considerato, bisogna prendere atto del fatto che non possiamo sperare di affrontare questo percorso tutti con lo stesso livello di difficoltà. Bisogna accettare la propria fatica, la propria “inferiorità”, se così volete definirla, e poi sta a voi, se capite che ne vale la pena, allora rimboccatevi le maniche perché sarà veramente una carognata assurda, ma quando arriverete in cima la soddisfazione non sarà la stessa di chi ci è arrivato senza incontrare ostacoli, sarà maggiore. Perché anche la soddisfazione finale è proporzionale al grado di difficoltà.

     

    Camilla

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    Qual è il problema di sviluppare passione per qualcosa? O mettere impegno e dedizione in quello che facciamo? Nel porsi degli obiettivi solidi ed avere come lavoro quello di raggiungerli? Nessun problema! E’ stupendo! Mai capitato nella mia vita e finché dura direi che è il caso di approfittarne.

    La questione è che quando abbiamo degli scopi così nostri, quando siamo noi che riusciamo ad attribuire valore a quello che facciamo, quella cosa diventa quasi parte di noi stessi, un irrinunciabile pezzo della nostra mente. Un intero reparto mobilitato per quell’attività, che si tratti di università, di mandare avanti un azienda, di fare il conservatorio o di cercare di scrivere un libro, il cervello capisce che una buona dose delle sue energie va investita in quello. E uso il verbo “investire” non a caso, si tratta proprio di un investimento, un investimento che facciamo verso noi stessi. E’ gratificante sul lungo periodo poter scommettere su sé stessi. E’ come avere una solida ipotesi e cominciare a raccogliere i dati sperimentali, non è detto che rispecchino le nostre previsioni, spesso le nostre aspettative rimangono deluse. Ma quella speranza, quella ipotesi diventa il motore del macchinario, senza di quella nulla parte, il nostro lavoro diventa avvicinarci, scoprire, capire. E’ bella la scienza perché ti mette sempre un po’ di pepe al culo, non ti puoi sedere un attimo in contemplazione dei tuoi risultati perché è sempre tutto in movimento, nulla finisce senza che sia iniziato qualcos’altro, una spiegazione implica un altro dubbio e via dicendo. Questo per dire che dedicarsi con rigore ad un’attività come può essere lo studio diventa un vero e proprio impiego di risorse col fine di far lavorare in maniera sempre più efficiente questo grande macchinario di cui parlavo. E, a volte, il problema risiede nel fatto che veniamo fagocitati da noi stessi, da quello che possiamo apprendere e creare, dal nostro percorso, siamo quello che siamo grazie anche al lavoro che stiamo facendo ed improvvisamente rimane poco spazio per il resto. Questo ci aiuta a selezionare meglio le persone con cui trascorrere del tempo, con cui parlare, le persone da avere accanto e il modo in cui passare il tempo libero. Perché diventa molto prezioso. Quando il proprio lavoro diventa una priorità molte cose passano in secondo piano, l’avere una relazione ad esempio, può essere una cosa che addirittura ci spaventa perché potrebbe portarci fuori dal nostro equilibrio di funzionamento, fuori dal flow, diventa un rischio che non si è affatto sicuri di voler correre. Questa forse è la pecca, nulla deve permettersi di sconvolgere o infrapporsi tra noi e ciò che facciamo, perché ciò che facciamo è diventato parte di noi, ciò che ci fa sentire migliori, che ci fa sentire noi stessi, perdere o danneggiare quello vorrebbe dire ferirsi, rischiare di cadere in quegli anfratti della nostra personalità che solitamente cerchiamo di svilire, accantonare e che, in linea di massima, non ci vanno molto a genio.

    E io ho una soluzione? Ovviamente no, questo era il mio problema vomitato su queste quattro righe, faccio fisica, non psicologia, non sono più tenuta a capire queste cose.

    Gli integrali di superficie, quelli devo capire.

     

    Camilla

  • 20190509_144747

    Quanto ci fanno invidia quelle persone che quando devono studiare, senza scuse, senza alcun tipo di incertezza, e senza infiniti tentativi di procrastinazione si mettono lì e studiano. Indirizzano tutta la loro concentrazione e le loro energie su quello che stanno facendo, per essere più produttivi, per impiegarci meno tempo e potersi poi dedicare alle attività che preferiscono pregustando il dolce sapore della coscienza pulita e la mente libera da qualsiasi tipo di rimorso. Bello, vero? In ventun’anni non credo mi sia mai successo. Io e la mia coscienza abbiamo un rapporto abbastanza conflittuale quando si parla di studio.

    Io vorrei fare quello che lei mi dice, ma le invitanti promesse delle gratificazioni istantanee mi fregano sempre. Anzi, altro che promesse, sono nel giro da fin troppo tempo per non sapere che anche mentre cedi e ti dedichi alla più piccola distrazione, mentre lo stai facendo già sai che si tratterà di un piacere così effimero se paragonato al senso di colpa che ti attanaglierà dopo. Un’altro stato d’animo con il quale sono particolarmente in confidenza: il senso di colpa. Non credo sia passata giornata da quando ho iniziato l’università un anno fa in cui non l’abbia provato. Lui è sempre lì, ed è un pignolo del cazzo il senso di colpa, lasciatemelo dire, perché mi fa notare anche la più infima mancanza, non in maniera necessariamente troppo severa, ma me la fa notare.

    Insomma questo grande cocktail di emozioni ci viene somministrato quotidianamente dal nostro adorabile cervellino e, nell’ambito dello studio siamo in un vero campo minato. Generalizzo, ovviamente, come dicevo poc’anzi esistono anche questi sorta di X-Men dello studio, in grado di fare sempre il loro dovere. Attenzione, il primo trucco sta nel capire che non si tratta di “voglia” o motivazione, voglio dire, parliamoci chiaro, c’è qualcuno che nella propria vita ha mai avuto sinceramente voglia di studiare? Per quanto la materia possa essere interessante non prendiamoci in giro, l’atto di studiare è una delle cose più complesse e fastidiose che siamo chiamati a svolgere nella nostra vita. E grazie a dio che è incredibilmente utile sennò sarei già andata a confezionare marmellate e tanti cari saluti. C’è a chi viene particolarmente naturale, chi  riesce a praticarlo con serenità e moderazione, dedicando il giusto tempo sia allo studio che alla propria vita privata, ai propri interessi. L’equilibrio dovrebbe essere questo. In molti ci si ritrova invece in questo limbo di angoscia verso lo studio. Ora vi racconterò in particolare del mio limbo di angoscia, e forse non lo troverete molto distante dal vostro.

    Studiare richiede un enorme sforzo mentale di concentrazione, auto-motivazione e organizzazione. Nel mio caso specifico si tratta di uno studio ancora più bastardo perché coinvolge la comprensione di concetti astratti e la pratica con esercizi. Ciò significa che non ti basta leggere, ma devi assimilare, immaginare ed interpretare ogni riga ed ogni singolo concetto e dopo che l’hai fatto metterti a svolgere una serie infinita di esercizi che oltre a non venirti ti faranno prendere consapevolezza del fatto che non avevi capito una fava della teoria. Sì sì amici, fisica è così, una graziosa accozzaglia di soddisfazioni personali e vangate sull’autostima. Non ci si sente mai abbastanza arrivati, non si riesce mai a sentire di aver compreso a pieno un argomento, di padroneggiarlo al massimo. Già solo il fatto di avere una vaga idea di quello che si sta facendo costituisce un’enorme fonte di soddisfazione. Perché lo facciamo? Perché si insiste in questa direzione? Perché è importante sapersi rapportare con la difficoltà, con lo sforzo, imparare a gestire la propria volontà e allenarla. Per troppo tempo mi sono raccontata la fiaba del “non avere abbastanza forza di volontà”. La forza di volontà è un concetto astratto che ci illudiamo di avere o non avere. Ma la verità è che non esiste, non è una dote che si possiede o meno, non si tratta di una qualche sorta di abilità. Un po’ come il coraggio, no? Non sei coraggioso se non hai paura, il principio è molto simile. Bisogna allenarsi a fare le cose senza che vi siano stimoli esterni o interni, a volte semplicemente non si ha abbastanza voglia o motivazione, quasi mai, e quelli che ce l’hanno, beh, non fanno un grande sforzo di volontà, no? E’ come se mi dicessero “hey, stasera devi mangiare una teglia di lasagne”, non costituisce per me un grande ostacolo né necessiterei di grandi incentivi per farlo.

    Dobbiamo allenare la nostra mente ad accettare la fatica, la frustrazione, la noia e tutte quelle sgradevoli sensazioni legate allo studio. Non si può sperare o aspettare che svaniscano o che ci venga naturale, non lo sarà mai. Ed è questa la vera gratificazione alla fine, riuscire ad andare un po’ contro la propria corrente, ed essere in grado di imporsi per il proprio benessere, di guardare a degli obiettivi un po’ più lontani ed un po’ più sfocati mettendo da parte quelle piccole momentanee soddisfazioni che ci portano solo a sentirci in colpa per non aver fatto il nostro dovere.

    Vabbè dai non ascoltatemi, sto studiando Analisi 2 e mi piace un sacco, appena riprenderò in mano Meccanica andranno a farsi fottere tutti i miei discorsi filosofici sulla concentrazione e l’allenamento della mente, ma voi nel dubbio provate, che magari funziona.

     

    Camilla

  • First Image of a Black Hole

    E’ difficile usare parole mie per descrivere qualcosa di tanto complesso, qualcosa di tanto lontano da ciò che siamo normalmente abituati a comprendere. Per questo il titolo del post riporta le parole di Adalberto Giazotto, l’uomo che contribuì con la sua lungimiranza e la sua creatività all’ideazione ed alla costruzione di VIRGO, uno tra i più grandi interferometri al mondo con lo scopo di rilevare onde gravitazionali provenienti dall’universo. E’ difficile capire e spiegare la ricchezza umana che sta dietro ad imprese di questo tipo.

    Partiamo da ciò che conosco. Questo martedì, nel mio Dipartimento di Fisica sono stati presentati i vari curricula delle Lauree Magistrali. Ho trovato e scoperto cose interessanti ma la verità è che si rimane spiazzati dalla vastità di quello che c’è da sapere sul mondo in cui viviamo. Esistono meccanismi così profondi, talmente tante materie specializzate ognuna in un ramo diverso. Come si fa? Come si fa a capire cosa fare? A capire cosa vogliamo costruire, chi vogliamo diventare, per che cosa siamo portati? Troppe. Troppe cose ci sono da capire, la scienza è anche un po’ spaventosa, a qualsiasi livello si rimane comunque indietro, spesso la gratificazione e la frustrazione non riescono ad equilibrarsi e sembra di inseguire un punto che si allontana ad ogni passo.

    Poi ieri sera mi sono imbucata ad una piccola conferenza, tenuta in un’auletta interrata di un prestigioso collegio pavese. Non era piena. Gli unici presenti erano sostanzialmente fisici. Professoroni ben vestiti e studenti prodigio con le idee molto chiare sul loro futuro. Sedute dietro la schiera di grandi menti io ed una mia amica, con un blocchetto a testa per prendere appunti e la speranza di non abbioccarci dopo i primi tre quarti d’ora a causa di spiegazioni troppo tecniche. Il nome della conferenza era: “Una finestra sull’universo oscuro: la rivoluzione delle onde gravitazionali”, tenuto da Giovanni Losurdo, coordinatore dell’esperimento VIRGO e primo ricercatore dell’INFN di Firenze. Non posso riassumere i contenuti della conferenza, ma posso dire di essermi emozionata ad ascoltare le imprese di un  gruppo di ricercatori con un sogno, delle speranze, un obiettivo. Mi sono emozionata a scoprire quanto il cosmo possa essere controverso, a quanto la realtà sfugga all’intuizione.  Mi sono emozionata percependo l’entusiasmo del Professor Losurdo mentre ci raccontava della loro grande creatura, l’interferometro, mentre parlava col sorriso delle difficoltà in cui sono incappati, dell’enorme livello di precisione dei loro strumenti, degli ostacoli e delle vittorie che hanno incontrato nel loro percorso.

    Cioè, nello spazio da qualche parte, 1.3 miliardi di anni fa, due buchi neri da circa 30 masse solari si sono fusi ad una velocità pari a metà della velocità della luce. Ci rendiamo conto? Io rimango sconcertata dalla grandezza di quello che ci circonda. E mentre camminavo, al ritorno, prendendomi tutta la pioggia possibile, pensavo che ieri l’altro siamo riusciti ad ottenere la prima immagine di un buco nero, o meglio, la prima immagine che ci mostra cosa accade alla luce ed alla materia che si trovino in prossimità di un buco nero. E pensavo che questo buco nero, l’M87 si estende oltre i 20 miliardi di chilometri, una cosa che se lo vedessimo di profilo non capiremmo cosa abbiamo davanti, solo una vastissima regione delimitata dall’orizzonte degli eventi oltre il quale non abbiamo idea di cosa accada. E pensavo che il Sole ha un diametro di 1 milione e 400 chilometri, la Terra di 12000. Se fossimo pianeti, il mio diametro, il vostro diametro quanto sarebbe? Non è nemmeno un granello di sabbia in confronto. Sembreremmo quasi non esistere agli occhi dell’Universo. L’Universo è incurante della nostra vita. Eppure siamo qui. A captare segnali. Ad interpretarli e a scoprire cosa c’è a 55 milioni di anni luce da noi. Come si fa ad essere così piccoli e così importanti? Così piccoli e così ricchi. Viviamo su uno di quei granelli di polvere che si vedono fluttuare sotto i raggi del sole ed è come se stessimo scoprendo quanto può essere vasto il mare.

    Non sbeffeggiate l’immagine che EHT è riuscito a donarci, fate finta per un attimo ancora di essere su quel granello e di aver scoperto che lontano lontano c’è qualcosa di blu che sembra quasi infinito e contiene un’intera vita sconosciuta dentro di sè. Fate finta di non sapere nulla del mare, di tutto quello che c’è sotto il pelo dell’acqua. Ora lo vedete? Quell’azzurro un po’ sfocato delimitato dall’orizzonte? E’ lì che tentiamo di andare.

    Concluderò rubando un’altra citazione. E spero, un giorno, di poter trovarle io quelle famose parole per descrivere tutto questo, io per ora posso solo percepirne la meraviglia, e spero riusciate anche voi.

    E allora perché è importante? Ci saranno, certo, implicazioni scientifiche cruciali. Ma non è per questo che ci fa così impressione. Questa scoperta ci sembra così importante perché è fatta bene. Per arrivare a questo risultato centinaia di uomini e donne hanno lavorato al massimo della loro creatività e della loro precisione. Questa scoperta ci impressiona perché abbiamo – come genere umano – spinto le nostre conoscenze oltre il limite, oltre un limite quasi impensabile (impensabile persino per lo stesso Einstein).
    E questo è un atto di bellezza, una vetta della creatività umana.

    Francesco Morosi
    Bollettino SNS, 19 Febbraio 2016

    Camilla

     

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    Facciamo un sunto della situazione: sono una testa di cazzo. Consapevolezze importanti queste da acquisire e nonostante già ne avessi il sospetto, ora ne ho la completa certezza. E’ inutile piangere sul latte versato, mi ripeto, il condizionale non porta da nessuna parte “avrei dovuto, avrei potuto, sarebbe stato meglio, non avrei…”. L’autocommiserazione e il senso di colpa non pongono alcun rimedio, il danno è fatto. Mi sono presa una giornata per pensare alle conseguenze delle mie azioni, alle motivazioni che mi hanno spinto a commettere un errore così stupido. La verità è che si fanno errori, che mi sto impegnando per tenere sotto controllo ogni aspetto della mia vita e quando inizio a barcollare finisce sempre che cado. Questa volta la caduta è stata piuttosto sonora e non mi sono solo sbucciata un ginocchio, mi sono  slogata la caviglia e significa che zoppicherò per un po’. Non entro nei dettagli ma, sostanzialmente, ho mandato all’aria quattro settimane di studio e tanti cari saluti ad algebra lineare. Non credo che l’avrei passato anche se mi fossi presentata ma sarebbe già stato un traguardo tenere duro fino alla fine e andare a sbatterci la faccia, al posto di sbatterla per terra. Non entrerò in un turbinio di pensieri svilenti come mio solito, voglio fare qualcosa di concretamente utile per rimediare. Credo che gli scivoloni capitino a tutti e mi rimprovero per questo ma cercherò anche di essere indulgente per poter iniziare il nuovo semestre con uno spirito agguerrito e non impaurito. Le abitudini a questo servono, io credo, per riuscire a mantenere l’equilibrio, il controllo. Per studiare, per vivere l’università serve ritmo ed è un po’ come nel tennis, un attimo ce l’hai e l’attimo dopo l’hai perso. Un giorno giochi da dio e riesci a rimanere concentrato, l’altro dimentichi ogni colpo e sembra quasi che la racchetta non faccia quello che gli dici. Mi sembra di dover continuamente fare attenzione a non inciampare. Sono un’inciampatrice cronica in realtà, commetto spesso e volentieri gli stessi sbagli ma in un anno ho visto che alcuni ho cominciato a non commetterli più, quindi forse sono in grado di imparare. E questa cosa l’ho imparata: quando sento di star perdendo l’equilibrio è il momento in cui devo resistere di più per non cadere. Stavolta sono rotolata miseramente, “come un pezzo di stoffa bagnata”! Ma adesso mi rimetto in pista, con un nuovo piano d’azione, con rinnovato entusiasmo e ci riprovo. Arrendersi a fisica non è contemplato.

     

    Camilla