Sixsmith, salgo i gradini dello Scott monument ogni mattina, e tutto diventa chiaro. Vorrei poterti fare vedere tutta questa luminosità, non preoccuparti, va tutto bene, va tutto così perfettamente maledettamente bene. Capisco ora che i confini tra rumore e suono sono convenzioni. Tutti i confini sono convenzioni, in attesa di essere superate; si può superare qualunque convenzione, solo se prima si può concepire di poterlo fare. In momenti come questi, sento chiaramente battere il tuo cuore come sento il mio, e so che la separazione è un’illusione. La mia vita si estende ben oltre i limiti di me stesso.
-Cloud Atlas
Mi è capitato di ripensare ai primi giorni di università, proprio ora, riaprendo algebra lineare e guardando con un po’ di stordimento le matrici. Ho cercato di ritornare con la mente a quel periodo, così differente da ora che sembra che il tempo in mezzo abbia deciso di andare a prendersi un caffè con gli amici, per riprendere il suo lavoro un po’ più tardi del solito. Come prima cosa ho ricordato le lacrime, il terrore. Uso la parola terrore non a caso, perché quello che provavo era così distante e così più forte della paura da non potersi definire tale. Ricordo i tentativi di seguire ogni lezione nei primi banchi senza crollare a piangere, guardando il foglio con insistenza nel tentativo di calmarmi, ma più fissavo quelle scritte più il mio cervello entrava in un pericoloso stato di allarme dal quale non riusciva più a sfuggire. Ricordo un amico che ad intervalli costanti mi dava una leggera gomitata e mi guardava dicendomi di rimanere a galla. Quante volte mi sono sentita affogare. Quante volte sono tornata a casa, nel mio rifugio per crollare in un abisso di disperazione ed insicurezza, angosciata all’idea di star affrontando qualcosa di troppo più grande di me, di star fallendo, di non essere abbastanza forte, abbastanza determinata o abbastanza motivata. Ricordo anche tutte le volte in cui aprivo un libro e per ogni cosa che non capivo riuscivo solo a pensare a tutto quello che mi sarebbe mancato da capire. Ricordo l’infinito senso di inadeguatezza e il continuo confronto con i compagni sempre più appassionati o più capaci di me.
E poi mi vedo ora. Mi guardo attentamente. Mi guardo allo specchio e mi affascina notare il fatto che non capirò mai chi sono davvero. Perché avevo delle idee su di me, su chi fossi e su cosa volessi, idee che sono state completamente stravolte dagli eventi, dalle parole, dalle persone che ho avuto accanto e dai miei pensieri. Cambiamo con una velocità così disarmante da renderci impossibile capirci fino in fondo. Io non mi capisco. Lo ammetto. Ed è una delle cose più sensazionali che questo percorso mi sta permettendo di imparare. Umanamente sento di starmi arricchendo come forse mai mi è capitato e magari mai mi capiterà. Mi sono addentrata in un periodo di tale lucidità e profonda introspezione. Prendo consapevolezza di ciò che è cambiato in me, mi sento più forte, più sicura, più ottimista, più razionale. Non so ancora chi sono, ma so che i limiti che finora il mio cervello mi ha imposto sono stati tutti scavalcati, tutte le paure che lui mi convinceva ad avere sono state affrontate.
E allora può darsi che, alle volte bisogna aver fiducia incondizionatamente in sé stessi e sbattere contro ogni muro finché non lo si abbatte. E vi verrà un mal di testa tremendo, anche se si tratta di muri fasulli, voi tenetevi il mal di testa e continuate ad andarci addosso che il dolore è un’illusione, fidatevi.
Camilla